
Mercato Retail: l’Italia alla prova di maturità… digitale
Negli ultimi anni il significato del Retail è andato evolvendosi in una logica sempre più digitale. Il mondo del commercio al dettaglio vive infatti un momento di grande trasformazione, abilitato in particolar modo dall’innovazione tecnologica. Questo, almeno, è ciò che accade nel mondo. Cosa ne è del Retail in Italia?
Retail in Italia: a che punto siamo?
Abbiamo già spiegato cosa vuol dire innovare nel Retail e quali sono i nuovi trend internazionali che promettono di trasformare ulteriormente il settore. È bene indagare sul livello di maturità digitale dei retailer italiani, grandi e piccoli che siano. Per farlo partiamo dal principio.
Rispetto ai principali mercati europei, il tessuto commerciale italiano presenta alcune peculiarità. La densità di imprese per chilometro quadrato nel nostro Paese è 1,4 volte la media europea. Ma, nonostante l’alto tasso di capillarità, si tratta principalmente di imprese di dimensioni ridotte, con pochi dipendenti e fatturati modesti.
Tutto ciò si riflette nel mercato del Retail italiano. La distribuzione geografica delle attività commerciali non è omogenea, con grosse differenze tra Nord, Centro, Sud e Isole. I top retailer puntano già lo sguardo verso un futuro digitale, mentre gli esercizi medio-piccoli sono ancora restii al cambiamento.
Che cosa significa tutto questo? Significa che la frammentazione delle imprese commerciali italiane rallenta, inevitabilmente, la spinta all’innovazione digitale.
Il mercato Retail in Italia: un quadro frammentato
Per confermare quanto detto, guardiamo i numeri. Gli esercizi commerciali in Italia, intesi come punti vendita e ristoranti, sono distribuiti in maniera disomogenea lungo il territorio nazionale, in termini di quantità e capillarità.
- Al Nord si trova il 41% degli esercizi commerciali, con circa 14 esercizi ogni 1000 abitanti
- Al Centro si trova il 23%, con 17 esercizi ogni 1000 abitanti
- Nel Sud e Isole si trova il 35%, con 19 esercizi ogni 1000 abitanti
Inoltre, anche se la densità delle imprese commerciali per chilometro quadrato in Italia è superiore alla media europea, si tratta di imprese Retail dalle dimensioni inferiori alla media continentale: basti pensare alla Germania, dove mediamente ogni attività ha 10 dipendenti e genera circa 0,8 milioni di euro di fatturato all’anno, contro i 3 dipendenti e 0,3 milioni di fatturato dell’Italia.
Queste cifre riflettono l’elevata frammentazione delle imprese di vendita al dettaglio italiane, che a sua volta ostacola l’adozione di nuove tecnologie e di un approccio basato sull’omnicanalità.
In che modo? Da un lato risulta più difficile avere competenze e capacità di investimento adeguate per gestire la trasformazione digitale, dall’altro occorre ancora attivare un processo di adeguamento alle soluzioni già disponibili, nate principalmente per soddisfare le esigenze dei grandi retailer.
I Top Retailer italiani: tante soluzioni, tanti cambiamenti
In un quadro così frammentato, si distinguono senza dubbio i top del settore. I grandi retailer italiani si concentrano sempre più sullo sviluppo di innovazioni digitali, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza dei processi nel back-end, favorire l’accesso al prodotto e la vendita e velocizzare le attività più “noiose”.
Quali sono le soluzioni digitali di maggior interesse per i top retailer italiani?
Da una Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, risulta che nel 2018 attori di diverse aree merceologiche hanno investito principalmente in 10 categorie di soluzioni:
- Sistemi per l’accettazione di pagamenti innovativi
- Soluzioni a supporto della fatturazione elettronica e dematerializzazione
- Soluzioni di CRM
- Sistemi di cassa evoluti e mobile POS
- Sistemi di sales force automation o di online selling in punto vendita
- Soluzioni di Wi-Fi in store
- Sistemi per l’accettazione di couponing e loyalty
- Sistemi di monitoraggio dei clienti in store
- Sistemi di business intelligence analytics
- Digital signage e vetrine intelligenti e interattive
Le PMI del Retail italiano tra rischi e opportunità
Rispetto ai grandi attori del settore, i retailer medio-piccoli hanno invece un rapporto ancora critico con l’innovazione. L’incidenza dell’investimento in digitale è infatti ancora molto limitata e in molti casi si manifesta anche un fattore aggravante: la totale assenza di interesse verso l’innovazione.
Spesso si ritiene che il digitale sia più una minaccia che un’opportunità. In questo senso, le PMI si giustificano con il timore di ritorni poco certi, costi elevati, mancanza di competenze interne adeguate e scarsa conoscenza delle soluzioni presenti sul mercato.
Nei casi in cui invece sono state adottate soluzioni innovative e iniziative a supporto dell’omnicanalità, si rilevano principalmente progetti semplificati e più elementari rispetto a quelli dei top retailer. Ad esempio:
- creazione di un sito informativo o per l’eCommerce;
- pubblicità dell’attività commerciale tramite canali web, email, SMS o Social Media;
- sistemi di cassa evoluti e mobile POS;
- sistemi di loyalty tramite carta dotata di banda magnetica o codice a barre;
- utilizzo di piattaforme eCommerce di terzi per vendere online (siti di marketplace, couponing, food delivery).
È vero che queste iniziative sono un primo passo verso l’innovazione, ma il tasso di adozione fra le PMI è ancora molto basso. Così come per i grandi retailer, anche per loro è arrivato il momento di guardare al futuro e convincersi che ogni dubbio sul digitale ha una sola risposta: l’innovazione è necessaria!
Autore: Valentina Pontiggia
Fonte: https://blog.osservatori.net/it_it/retail-italia-mercato-scenario

Il GDPR in Italia un anno dopo: a che punto è lo stato di adeguamento?
Il GDPR in Italia è diventato ufficialmente applicabile ormai da tempo, esattamente dal 25 maggio 2018. Il 19 settembre 2018 è entrato poi in vigore il testo di adeguamento della normativa italiana al General Data Protection Regulation, vale a dire il decreto 101/2018.
Ma cosa significa questo per le imprese del nostro Paese? Fortunatamente il trend sembra positivo. Si registrano progressi significativi in tema di adeguamento alla normativa, con aumenti nel budget a disposizione delle organizzazioni e nel grado di maturità, in termini di concretezza dei progetti e di cambiamenti organizzativi mirati.
Approfondisci: Decreto di adeguamento al GDPR n. 101/2018, le principali novità per l’Italia >>
Grazie alla Ricerca condotta dall’Osservatorio Information Security & Privacy, vediamo come questa normativa, finalizzata a rispondere alle sfide poste dalle nuove tecnologie in materia di protezioni dati, sta cambiando il contesto italiano.
Lo stato di adeguamento al GDPR italiano
Per esplorare i cambiamenti in corso nelle imprese italiane relativi alla data protection, l’Osservatorio ha considerato quattro aspetti:
- stato dei progetti dei adeguamento
- budget dedicato
- azioni implementate
- criticità riscontrate
Dallo studio si evince che quasi la totalità delle aziende italiane ha messo in atto o perfezionato progetti di adeguamento al GDPR. Quasi un quarto delle organizzazioni si è dichiarata conforme ai requisiti previsti dalla normativa e, allo stesso tempo, è diminuito il numero di aziende che si dichiara poco consapevole sulle implicazioni del GDPR. Su quest’ultimo punto, tuttavia, occorre precisare che si tratta di aziende dove il tema della protezione dati non ha ancora raggiunto i vertici ma è comunque noto a funzioni specialistiche quali IT Security, Legal e Compliance.
Un altro segnale positivo della maturità e della consapevolezza sul GDPR in Italia è la bassa percentuale di aziende (8%) che si trovano ancora nella fase di analisi dei requisiti previsti e di definizione di piani di adeguamento, mentre nel 2017 tale quota raggiungeva il 34%.
Il quadro è positivo anche sul fronte del budget dedicato alle misure di adeguamento al GDPR: l’88% delle aziende ha un budget dedicato. Se è vero che questo numero è positivo, è anche vero che l’attenzione deve ancora spostarsi soprattutto su attività specifiche come l’audit periodico, l’aggiornamento delle procedure e delle tecnologie di sicurezza e protezione dati.
Le azioni di adeguamento al GDPR
Nel concreto, che cosa stanno facendo le imprese italiane per adeguarsi al GDPR? È opportuno ricordare che il percorso di adeguamento deve necessariamente essere composto da diverse fasi, che al momento presentano diversi livelli di adozione:
- Creazione del registro dei trattamenti (85%): creazione obbligatoria di un registro dove tenere traccia di tutte le operazioni di trattamento effettuate;
- Individuazione dei ruoli e delle responsabilità (81%): individuazione e contrattualizzazione di tutti i responsabili del trattamento;
- Modifica della modulistica (76%): aggiornamento della modulistica secondo le prescrizioni del GDPR;
- Procedura di Data Breach Notificaction (68%): processo per comunicare all’Autorità di Controllo le violazioni di dati riservati;
- Definizione di politiche di sicurezza e di valutazione dei rischi (66%): adozione di misure per garantire la conformità del trattamento al Regolamento;
- Valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali (56%): valutazione di impatto (Data Protection Impact Assessment – DPIA) obbligatoria quando il trattamento può comportare un rischio elevato per i diritti e le libertà dei soggetti interessati;
- Implementazione dei processi per l’esercizio dei diritti dell’interessato (54%): azioni per il rispetto dei diritti concessi agli interessati dal trattamento.
Oltre a queste azioni, occorre considerare anche l’inserimento della figura del Data Protection Officer (DPO) nelle aziende. Questa figura, la cui nomina è prevista dal GDPR in una serie di casi, è presente nel 65% delle organizzazioni. Questa cifra è certamente positiva, dato che rivela un aumento del 46% (rispetto al 2017) delle aziende che hanno introdotto questa figura.
Quali criticità comporta il GDPR per le aziende italiane?
Se è vero che il quadro sullo stato di adeguamento al GDPR italiano è generalmente positivo, è anche vero che le organizzazioni hanno riscontrato alcune difficoltà. Infatti, il 26% delle aziende ha registrato difficoltà dal punto di vista organizzativo, per esempio nell’individuazione dei ruoli e delle responsabilità in azienda, mentre l’8% segnala un rallentamento significativo nelle attività quotidiane.
Tuttavia, questi elementi negativi sono di poco conto rispetto ad uno scenario maturo dove le aziende italiane si stanno mostrando non solo orientate ad affrontare le sfide in materia di data protection, ma anche consapevoli sull’intera tematica.
Autore: Andrea Antonielli
Fonte: https://blog.osservatori.net/it_it/gdpr-in-italia-stato-adeguamento

Facebook Pay per pagare con Facebook, Instagram e WhatsApp
Il payment è senza dubbio un obiettivo strategico di Facebook e di tantissimi altri attori del mondo digital. Ma per Facebook lo è senza dubbio in modo speciale. Dimentichiamo per un attimo il progetto Libra che ha visto e vede l’impegno di Facebook su un progetto molto sfidante che supera i confini del payment per entrare in tutto e per tutto nell’ambito del banking. Un progetto che sta incontrando non poche difficoltà dal punto di vista del rapporto con il framework normativo attuale. Facebook è consapevole che il mercato chiede soluzioni di pagamento adesso, semplici, accessibili e usabili senza dover “uscire” dalle applicazioni che si utilizzano più frequentemente. Da quest’ultima considerazione nasce l’accelerazione di un progetto che viene da lontano (leggi Facebook sbarca nei pagamenti digitali: primo ok in Irlanda) e che ha portato al lancio di Facebook Pay, la soluzione di digital payment che offre ai consumatori di gestire servizi di payment direttamente su Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp.
Facebook Pay parte dai servizi che Facebook ha già da tempo attivato e che permettono ai suoi utenti di pagare con le app per effettuare acquisti, di scambiare eo inviare inviare denaro in modalità P2P, di effettuare donazioni. Facebook Pay si colloca come un aggregatore di tutte queste funzioni, punta a renderle più semplici e a garantire maggiore sicurezza e protezione.
Negli Stati Uniti Facebook Pay parte subito con la gestione dei pagamenti per Facebook e per Messenger fornendo servizi per una serie di finalità come
- Raccolta fondi
- Possibilità di effettuare acquisti all’interno di giochi “in-Game”
- Payment P2P su Messenger
- Possibilità di pagare gli acquisti da pagine e aziende selezionate nel Marketplace di Facebook
La nota dell’azienda sottolinea che prevede di estendere Facebook Pay anche su Instagram e WhatsApp.
Dal punto di vista dei servizi Facebook Pay permette di semplificare le procedure di pagamento grazie all’integrazione “in-App. L’utente può aggiungere il metodo di pagamento Facebook Pay per effettuare pagamenti e acquisti all’ìnterno delle applicazioni senza dover reinserire i dati di pagamento ogni volta. per questo sarà necessario configurare Facebook Pay app per ogni app oppure scegliere di configurarlo per l’uso tra le app. La nota dell’azienda sottolinea che non ci sarà una configurazione automatica di Facebook Pay a meno che non sia l’utente a scegliere questa opzione.
Facebook Pay permette poi una serie di servizi come la visualizzazione della cronologia dei pagamenti, la gestione dei metodi di pagamento e l’aggiornamento centralizzato di tutte le informazioni.
Articolo di: Mauro Bellini
Fonte: fapagamentidigitali.it